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Museo di Scienze Naturali "F. Cicognini - G Rodari"  Storia dei Modelli in cera
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MODELLI IN CERA
Modelli

BREVE STORIA DEI MODELLI DI ANATOMIA UMANA IN CERA

 

I modelli in cera nascono dall’esigenza di permettere, soprattutto ai futuri medici, lo studio del corpo umano attraverso l’osservazione diretta delle sue varie e complesse parti. Tale esigenza, molto sentita in Europa già alla fine del Medio Evo, portò al diffondersi dell’anatomia, cioè della pratica di dissezionare i cadaveri. Ciò avvenne nonostante l’opposizione e i divieti della Chiesa di Roma: ne è esempio la doppia scomunica toccata a Federico Secondo di Svevia, Imperatore di Germania e delle Due Sicilie, in seguito ad un suo editto del 1230, che imponeva a tutti i medici lo studio del corpo umano praticato tramite l’anatomia.

Gli studi anatomici continuarono a svilupparsi soprattutto nel Rinascimento sia in campo medico che artistico, coinvolgendo anche personaggi della levatura di Leonardo, Michelangelo o Raffaello, che in molti casi collaborarono strettamente con importanti anatomisti, e dei quali sono rimasti scritti e disegni splendidi. Luoghi frequentati allo scopo erano naturalmente gli ospedali, in particolare a Firenze l’Arcispedale di S. Maria Nuova dove si facevano frequenti dissezioni su cadavere, malgrado i Granduchi della Famiglia Medici non incoraggiassero tali pratiche.

Il primo artista che realizzò modelli del corpo umano in cera colorata di impressionante fedeltà, al punto da costituire un’efficace alternativa alla dissezione su cadavere, fu lo scultore siracusano Gaetano Zumbo (1656 – 1701). Zumbo aveva approfondito le proprie conoscenze scientifiche presso l’Università di Bologna, dove si era già sviluppata una importante scuola di anatomia umana. La prima opera di questo genere da lui realizzata fu per conto di Cosimo III de’ Medici, una splendida testa di uomo attualmente conservata presso il Museo della Specola a Firenze.

L’arte di modellare la cera aveva origini molto antiche. Già nell’antica Grecia era presente la pratica di riprodurre il volto umano, applicando direttamente su di esso un calco in gesso e da questo ricavare una copia in cera fedele all’originale. I Romani ricchi facevano eseguire con la cera i ritratti degli antenati, che conservavano nelle proprie case e che portavano nei cortei funebri per accompagnare ogni nuovo defunto. E’ noto anche l’uso di portare al funerale di personaggi importanti l’effige in cera, colorata e vestita con i panni dello scomparso, come avvenne a Firenze per i funerali di Lorenzo il Magnifico.

La cera veniva usata nell’antichità anche per riprodurre organi del corpo umano, da offrire alle divinità come ex-voto, anche se allo scopo erano più utilizzati la terracotta per i poveri e l’argento per i ricchi. La pratica delle offerte votive in cera trovò larga applicazione dal XIII al XVII secolo a Firenze, dove si sviluppò una vera e propria industria: questi oggetti venivano portati in dono dapprima a una Madonna considerata miracolosa nella chiesa di Orsammichele, e più tardi alla celebre immagine della SS. Annunziata, che l’aveva nel frattempo sostituita nella devozione popolare. Con il passare dei secoli, agli organi del corpo umano, agli arti e ai volti, si aggiunsero vere e proprie statue, anche in grandezza naturale e talvolta perfino a cavallo, che i ricchi e i nobili si facevano fare in cera colorata e che offrivano alla SS. Annunziata vestiti con i propri panni. Questa pratica si diffuse al punto da riempire la chiesa di una folla di personaggi di cera, molti dei quali appesi al soffitto, al chiostro e alle pareti esterne: nel XVII secolo se ne contarono fino a 600, uno spettacolo impressionante del quale si sentiva parlare in tutta Europa. Con il tempo però le statue cominciarono a deteriorarsi (la cera, fra l’altro, è sensibile al calore); quando poi le funi che le tenevano appese al soffitto cominciarono a cedere, e i personaggi a cadere sulle teste dei fedeli, si cominciò a toglierli un po’ alla volta. Alla fine del ‘700, in seguito a disposizioni granducali, si eliminarono le statue rimaste, mentre la cera venne fusa per farne candele: fu sicuramente una perdita, perché almeno una parte delle opere distrutte doveva presentare un indubbio valore storico-documentario e forse anche artistico.

I modellatori che si erano specializzati nel produrre questi ex voto, tramandandosi l’arte di padre in figlio, avevano raggiunto un alto grado di perfezione; alcuni, particolarmente celebri, lavorarono anche per conto di sovrani e pontefici. Le loro numerose botteghe si svilupparono dapprima nella zona di Orsammichele e poi, con il diffondersi della devozione per la SS. Annunziata, nella vicinissima Via de’ Servi che si contraddistinse per questa attività. Con il progressivo abbandono dell’usanza dei ritratti votivi anche la relativa industria, così attiva a Firenze fino al XVII secolo, andò incontro a un inevitabile declino. Nel contempo però l’arte ceroplastica cominciò a trovare nuove applicazioni, soprattutto a Bologna, in campo scientifico.

Abbiamo già accennato come a Bologna, presso l’Università, fosse presente nella seconda metà del ‘600 una importante scuola di anatomia umana: proprio da questa ebbe origine una tradizione artistica di produzione di modelli in cera colorata, divenuta celebre. Il primo artefice di questa scuola fu il bolognese Ercole Lelli (1702-1766), docente di anatomia, che ideò e realizzò personalmente splendidi modelli da usare nella didattica, tuttora conservati presso il Museo di Anatomia Umana dell’Università di Bologna. Si veniva così a evitare l’impiego del cadavere durante la lezione, anche se per eseguire uno solo di questi modelli era necessario dissezionare alcune decine di corpi.

Gli studi di anatomia umana, con tanto di produzione di modelli in cera, continuarono a perfezionarsi anche ad opera dei collaboratori del Lelli, permettendo alla città di Bologna di mantenere per tutto il XVII secolo il primato in questo campo. Nel frattempo la scienza anatomica si era diffusa in tutta Europa. Dalla scuola delle cere anatomiche bolognesi ebbe origine quella fiorentina negli ultimi decenni del ‘700, per iniziativa di Giuseppe Galletti, chirurgo e professore di ostetricia presso l’Arcispedale di S. Maria Nuova in Firenze. Galletti, dopo aver ammirato a Bologna le opere del Lelli e della sua scuola, riuscì a realizzare a Firenze, dopo molte difficoltà, una prima serie di preparati grazie alla collaborazione del modellatore Giuseppe Ferrini. Si trattava di modelli di ostetricia in terracotta e in cera, che rappresentavano feti e condizioni di parto, con casi anche molto impegnativi per gli operatori dell’epoca. Il Ferrini passò poi a lavorare nell’erigendo Museo di Storia Naturale nel 1771, sotto la direzione di Felice Fontana.

Il 1771 rappresentò un anno particolarmente importante sia per la didattica che per la divulgazione delle scienze: l’anno di nascita a Firenze del Museo della Specola, per volontà del Granduca Pietro Leopoldo di Lorena. Gli Asburgo-Lorena regnarono in Toscana in successione alla famiglia Medici, della quale l’ultima discendente, Maria Ludovica, aveva lasciato per testamento alla città di Firenze tutte le splendide collezioni artistiche e scientifiche della sua famiglia. Si trattava di un patrimonio inestimabile sia di opere d’arte che di reperti scientifici, come animali e piante esotici, minerali e fossili, che i Medici avevano acquisito nel corso di secoli. I Granduchi di Lorena, molto sensibili ai temi della scienza, sentirono il bisogno di mettere questo tesoro a disposizione dell’intera popolazione, convinti di promuoverne la crescita culturale: un’idea molto moderna e lungimirante per quell’epoca. Pietro Leopoldo, sovrano illuminato e uomo di straordinaria cultura, decise così di realizzare un grande museo di storia naturale, aperto a tutti: quello che poi fu chiamato Museo della Specola, inaugurato nel 1775. Nel 1771 il Granduca diede avvio ai lavori per la sistemazione di un grande fabbricato acquistato allo scopo, che si trovava in via Romana; contemporaneamente nominò direttore Felice Fontana (1730-1805), affidandogli l’organizzazione del futuro museo.

Felice Fontana, grande e poliedrica figura di scienziato, si dedicò con slancio al nuovo compito, occupandosi anche della realizzazione dei modelli in cera, per la quale allestì un’apposita officina all’interno dello stesso palazzo. Qui venivano riprodotti, sempre con estremo realismo, sia parti anatomiche del corpo umano, sia casi patologici talvolta impressionanti – considerate anche le difficoltà e i limiti ai quali era sottoposta la medicina dell’epoca – oltre a piante e fiori con particolari a forte ingrandimento. L’officina ceroplastica continuò a produrre migliaia di bellissimi modelli fino alla fine dell’800, in parte da esporre nel Museo stesso, in parte per conto di università italiane e straniere. Considerando che la collezione doveva avere funzione didattica soprattutto nella formazione dei nuovi medici, sostituendo le lezioni con dissezione di cadaveri, Fontana si preoccupò di corredare tutti i modelli esposti con disegni colorati e con dettagliate spiegazioni, scritte a mano su fogli conservati a parte e facilmente consultabili.

In un primo tempo il lavoro dell’officina ceroplastica fu affidato materialmente alle mani dello stesso direttore Fontana, che operava le dissezioni, e del modellatore Giuseppe Ferrini che plasmava le opere. Poi si aggiunsero altri collaboratori fra i quali uno, Clemente Susini, si distinse per qualità sia scientifiche che artistiche: fu assunto nel 1773, a diciannove anni, come modellatore. Pittore e scultore, Susini contribuì in modo determinante al raggiungimento di quel grado di perfezione nell’eseguire i modelli rimasto insuperato. Nell’officina il lavoro era duro per tutti gli operatori, impegnati quotidianamente per molte ore. Il compito probabilmente più ingrato era affidato allo spazzino del Museo, che doveva portare i pezzi di cadavere dagli ospedali cittadini e poi i resti, dopo l’uso, al camposanto; si spostava a piedi, con qualsiasi tempo, con il solo aiuto di una sporta di giunco. Ma neppure artisti e scienziati si sottraevano alla fatica e ai disagi. Lo stesso direttore Felice Fontana passava tutto il proprio tempo a sezionare le salme, fra i miasmi che, soprattutto in estate, non dovevano certo mancare data l’assenza di frigoriferi; sembra che talvolta utilizzasse, per i propri veloci pasti tra una dissezione e l’altra, lo stesso tavolo da lavoro. Fontana si era imposto questo stile di vita, malsano e logorante, spinto dalla passione per il proprio lavoro. C’erano, a sostenerlo, una forte convinzione nelle proprie idee (divulgare la scienza e soprattutto formare buoni medici, senza bisogno di ricorrere alle lezioni su cadavere, anche se su questo ultimo punto dové in parte poi ricredersi) e, certamente, la bellezza incomparabile delle opere che ogni giorno prendevano forma nell’officina ceroplastica. Era riuscito a entusiasmare anche il Granduca, di per sé tutt’altro che favorevole alla dissezione dei cadaveri, convincendolo appunto che di tale attività si sarebbe potuto fare definitivamente a meno, qualora si fosse realizzata una adeguata collezione di modelli in cera. E così il Granduca Pietro Leopoldo continuò a finanziare di buon grado le attività dell’officina, che certo dovevano essere impegnative: basti pensare che le cere occupavano già sei sale del Museo nel 1775, anno dell’inaugurazione, e ben sedici nel 1819.

Dopo la morte di Clemente Susini nel 1814 la scuola di anatomia continuò la sua attività ad opera di altri artisti-scienziati, non meno valenti, che si succedettero negli anni. Fra tutti ricordiamo Egisto Tortori (1829-1893) perché nella sua ampia produzione vi sono alcuni esemplari ingranditi dell’occhio, con i quali potrebbero avere qualcosa in comune i quattro modelli presenti nelle collezioni “Cicognini-Rodari”.

L’attività dell’officina ceroplastica ebbe fine nel 1893, alla morte del Tortori; da allora, si è fatto tutto il possibile per cercare di mantenere lo straordinario patrimonio che in essa ha avuto origine. Impresa non facile, dal momento che le cere si deteriorano a causa delle variazioni stagionali di temperatura e perfino delle vibrazioni del pavimento delle sale, dovute al passaggio degli stessi visitatori; la loro manutenzione, inoltre, richiede personale altamente specializzato.

Attualmente il Museo della Specola possiede complessivamente 562 urne, 27 delle quali racchiudono figure umane complete, di cui 19 a grandezza naturale. Ci sono anche molti altri modelli anatomici, sempre prodotti dall’officina della Specola, conservati presso varie istituzioni in Italia (come le Università di Cagliari e Bologna) e all’estero: fra queste emerge il Museo dell’Accademia Militare di Sanità di Vienna, che possiede la raccolta più grande dopo quella di Firenze. Questa straordinaria collezione ebbe origine verso la fine del ‘700, quando l’Imperatore d’Austria Giuseppe II, impressionato da una visita fatta alla Specola, chiese che gli venisse preparata una collezione ancora più numerosa. Il Granduca non permise che a tale impresa lavorasse l’officina della Specola, per non penalizzarne la produzione finalizzata al Museo; tuttavia non ostacolò Felice Fontana quando questi volle occuparsi personalmente dell’opera, assumendone in proprio la responsabilità. Fu un lavoro gigantesco, che durò anni. Fontana affittò appositamente un fabbricato nei pressi della Specola da adibire a laboratorio per preparare le cere destinate a Vienna, e, aiutato dai suoi collaboratori, si occupò di tutta l’organizzazione del lavoro, dall’assunzione dei numerosi lavoranti a giornata alla loro istruzione e retribuzione, fino ad anticipare di tasca propria i denari per le spese quando tardavano i finanziamenti da Vienna (in tutto 30'000 fiorini). Nel 1786 la collezione, finalmente completata, fu trasportata a Vienna attraverso le Alpi sul dorso di alcune centinaia di muli. Tutt’oggi la si può ammirare, esposta in sette magnifiche sale: si tratta di più di 800 pezzi di ottima fattura - anche se non eguagliano la perfezione delle opere della Specola - molto ben conservati nelle loro urne originali.

Concludiamo con qualche accenno al materiale e ai procedimenti impiegati per realizzare questi modelli anatomici. L’utilizzo della cera, così diffuso, si spiega con la relativa facilità di lavorazione della cera e con la fedeltà ai particolari che essa permette: la cera si può plasmare; si può colorare aggiungendo pigmenti all’impasto quando è fuso così come dipingere dopo la solidificazione; si può variarne a piacimento il grado di durezza, di trasparenza, di lucentezza. I procedimenti, che variavano in base all’operatore e anche alla parte anatomica che si voleva riprodurre, si articolavano in quattro fasi:

1. Stabilita quale era la parte da riprodurre, un esperto dissettore preparava i vari pezzi che la componevano, sui quali poi gettare il gesso per farne il calco; oppure si poteva eseguire una copia di ciascun pezzo plasmando materiale di basso costo, sulla quale poi realizzare il calco.

2. Si realizzava il calco in gesso, formato da due o più parti. Il calco sarebbe poi servito come stampo per il modello definitivo; poteva essere conservato e riutilizzato più volte.

3. Nello stampo si versava la cera fusa, nella quale erano stati mescolati vari additivi, compreso il colore desiderato; a raffreddamento ultimato si apriva lo stampo e si estraeva il modello.

4. Si procedeva a ripulire e levigare il modello; eventualmente a imprimere con appositi ferri le striature tipiche dei muscoli; a collocare vasi sanguigni e nervi, ottenuti con filo rivestito di cera; ad applicare eventuali sostanze protettive. Si concludeva infine con l’assemblaggio dei singoli pezzi che componevano il modello, saldandoli con cera calda; generalmente questi erano numerosi, tanto più quando si trattava di vere e proprie statue.

Prof. Giuseppe Meucci

Informazioni tratte dal volume: B. Lanza, M.L. Azzaroli Puccetti, M. Poggesi, A. Martelli, Le Cere Anatomiche della Specola, Arnaud Editore, Firenze 1979

 


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